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Circolare esplicativa norme di conformità e congruenza PUC

PRIMA CIRCOLARE ESPLICATIVA DELLE NORME DI CONFORMITA’ E CONGRUENZA DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE DELLA SPEZIA

  1. Premessa
1.1     Le ragioni di una circolare esplicativa
L’entrata in vigore di un nuovo Piano Urbanistico comporta una fase iniziale interpretativa e applicativa dell’insieme delle elaborazioni eseguite perché è ben noto a tutti coloro che operano nel settore del territorio quanto sia impossibile da un lato prevedere e quindi normare ogni caso potenziale, dall’altro quanto ciò che è stato previsto e scritto abbia bisogno di una fase di sperimentazione, di verifica e , successivamente, di correzione. Lo sforzo che il comune ha fatto in questa fase è quello di facilitare la comprensione delle norme di conformità e congruenza così come redatte, esplicatando lo spirito con il quale sono stati sviluppati i vari articoli, per agevolare a professionisti e cittadini l’approccio con il lavoro o le esigenze di ogni giorno. Questa circolare vuole essere un primo contributo al quale, se necessario, ne seguiranno altri.
 
1.2     I contenuti
La descrizione fondativa è un quadro di conoscenze che non esaurisce il proprio ruolo nella motivazione delle scelte operate dal Piano Urbanistico Comunale. Essa conserva una funzione di accompagnamento nella gestione del piano, crea i riferimenti per applicarne le flessibilità, supporta l’aggiornamento e traccia i margini della sua modificabilità nel tempo. Questi principi derivano dalla L.R. 36/’97 e sono richiamati all’articolo 1 comma 3 delle norme di conformità e congruenza del PUC, dove si afferma che il quadro conoscitivo in essa presente “costituisce sostegno all’elaborazione progettuale e per le azioni di governo del territorio”. Sui criteri metodologici in essa codificati e sulla coerenza con le finalità esplicitate nel documento obiettivi si fonda, dunque, la gestione della flessibilità delle prescrizioni del piano. Scopo della presente circolare è quello di fare chiarezza sull’applicazione di questi criteri. L’illustrazione segue, pertanto, l’ordine discorsivo della struttura del piano, chiarendo dapprima le flessibilità inerenti la normativa di carattere generale, poi quella propria degli ambiti di conservazione, degli ambiti di riqualificazione, delle aree di ricomposizione urbana, dei distretti di trasformazione, delle zone agricole e di presidio ambientale, e infine del recupero a fini ricettivi.
 
2.      Norme generali
Per quanto riguarda i criteri che sovrintendono le norme generali, merita in questa sede porre in particolare evidenza esclusivamente il rapporto della nuova costruzione con l’assetto fondiario e i relativi legami di asservimento preesistenti la data di adozione del PUC. In generale va sottolineato che, in presenza di un fabbricato esistente, gli indici e i parametri e tutte le prescrizioni di piano per una nuova edificazione nel medesimo lotto, a prescindere dalle eventuali specifiche discipline per edificio espressamente individuate nelle aree di ricomposizione urbana e nei distretti di trasformazione, devono comportare la deduzione della relativa superficie utile lorda dal computo della Sul di progetto. Tale disposizione è efficace a prescindere da qualsiasi tipo di frazionamento della proprietà possa essere intervenuto successivamente alla data di adozione del preliminare di PUC, il 25 luglio 2000.
La ricostruzione della proprietà deve ritenersi prescrittiva nei tessuti collinari di riqualificazione (art. 13, lettere g) e h)), nelle zone produttive (art.14) e negli ambiti extraurbani. Questo perché quelli elencati sono gli unici casi in cui l’indice edificatorio, a differenza degli altri ambiti di riqualificazione in cui è prevista la nuova costruzione, non è circoscritto in unità minime di intervento di cui si è in grado di controllare nel dettaglio gli esiti della nuova costruzione con l’intenzione di rendere completabili in modo morfologicamente corretto anche piccole porzioni di tessuto edilizio, ma è attribuito ad intere parti di territorio. Pertanto, al fine di garantire una più equa distribuzione dell’edificabilità, si rende necessario verificare che i lotti effettivamente edificabili con il pieno utilizzo dell’indice fossero liberi da costruzioni alla data di adozione del preliminare di PUC. Un’altra indicazione della norma è quella di circoscrivere l’efficacia degli atti di asservimento pregressi negli ambiti urbanizzati al fine di favorire interventi di riqualificazione attraverso nuova costruzione. La norma afferma che in area urbanizzata gli atti di asservimento conservano la loro efficacia esclusivamente per quanto concerne le previsioni relative alle urbanizzazioni, il verde pubblico, i parcheggi, che possono peraltro essere anche ridistribuiti nell’ambito del lotto di intervento secondo nuove modalità localizzative. Il nuovo indice di piano, pertanto, mantiene la propria completa efficacia anche per poter pienamente concorrere alla riqualificazione morfologica di parti di città con il raggiungimento delle tipologie obiettivo individuate per ciascun sottoambito, che la circolare affronta in un successivo paragrafo. Gli atti di asservimento esistenti mantengono la loro efficacia, ma diverse normative intervenute con il nuovo PUC possono comportare aggiornamenti e modifiche agli stessi in particolare nel territorio extraurbano tra zone agricole e di presidio.
 
3.      Ambiti di conservazione in area urbanizzata
3.1. La disciplina per edificio
La disciplina degli ambiti di conservazione, come è noto, è diversificata per sottoambiti individuati secondo diverse destinazioni d’uso ammesse e, per quanto riguarda gli interventi edilizi, articolata edificio per edificio, secondo le modalità operative contenute nell’elaborato P6. A ciascun edificio – a ciascuna unità tipologica come definita all’art.3 comma 2 delle norme di conformità e congruenza – è stato attribuito, in sede di redazione delle indagini della descrizione fondativa, un codice che ne qualifica il valore storico, architettonico, ambientale e documentario. L’elaborato conoscitivo da cui la disciplina dell’elaborato P6 attinge i codici relativi alle modalità di intervento è la tavola D4a della descrizione fondativa, “Carta generale dei valori storici e ambientali”. In essa sono individuate le diverse qualità edilizie, complessivamente suddivise tra edifici storici e edifici recenti. Per edifici storici – come è noto – si intendono quelli costruiti prima della seconda guerra mondiale, prevalentemente in muratura portante. L’articolazione dei codici corrisponde all’individuazione di specifiche modalità di intervento, calibrate sul valore di ciascun edificio, espresse nelle norme di conformità e congruenza all’art.12. Questi codici sono:
–          A1: corrisponde alla categoria edilizia a disciplina più conservativa, ed individua due tipologie di edificio monumentale: innanzitutto quelli già vincolati ai sensi del D.lgs. 490/’99, individuati oltreché nella tavola di zonizzazione del PUC (tavola P1) anche sulla tavola dei vincoli (P2), per i quali la procedura di assentimento è subordinata al parere della competente soprintendenza. A questi vanno ad aggiungersi quegli edifici che, pur non interessati dal predetto vincolo, sulla base delle indagini specificamente condotte dai redattori della descrizione fondativa, sono stati ritenuti ad essi assimilabili. Ricadono tra questi alcuni importanti edifici ad uso pubblico (chiese, oratori, edifici scolastici e per uffici, edifici militari) e edifici privati che costituiscono i capisaldi architettonici del tessuto urbano, e che devono essere conservati in quanto patrimonio dell’immagine della città. Anche questi edifici vengono inseriti, con identica simbologia, nella tavola di azzonamento del PUC (e nell’elaborato P6 quando fanno parte di ambiti di conservazione in territorio urbanizzato), mentre, ovviamente, non compaiono nella tavola dei vincoli. L’elenco degli immobili A1 è riportato nell’allegato 1 delle norme di conformità e congruenza, secondo la distinzione sopradescritta. Gli interventi previsti sono quelli di manutenzione qualitativa, con l’esclusione del risanamento conservativo B, intendendo con ciò individuare una modalità di intervento che sia preordinata alla conservazione dei caratteri tipologici e architettonici. Ricadono, va rammentato, nel contesto degli interventi ammessi nel risanamento conservativo di tipo A, gli interventi di restauro e ripristino dei fronti esterni e interni, il restauro e ripristino degli ambienti interni di pregio, il consolidamento strutturale, l’eliminazione delle superfetazioni, l’inserimento degli impianti tecnologici e igienico-sanitari necessari, il frazionamento di un’unità immobiliare ottenuto per tamponamento di aperture o interposizione di tramezzi, nonché l’abbattimento di barriere architettoniche che potrà comportare anche minimi aumenti della superficie utile lorda quando questi si rendano indispensabili per rendere meglio accessibili spazi interni, in mancanza di alternative progettuali. Si è voluto in questo modo generalizzare la possibilità di intervento per abbattimento delle barriere architettoniche su tutto il patrimonio edilizio esistente – dal momento che il risanamento di tipo A è esercitabile su tutto il territorio comunale. Nei confronti degli immobili vincolati opera una regola di flessibilità, rispetto agli interventi previsti dalla norma, che consente di attuare interventi di livello superiore se assentiti dalla competente soprintendenza. Nei confronti di quelli non vincolati opera la flessibilità individuata al comma 7 dell’articolo 12, per la quale l’operatore può chiedere una ridefinizione delle modalità di intervento per l’edificio (ciò non significa una modifica alla classificazione dell’edificio stesso), o per parti di esso, sulla base della documentazione descrittiva, cartografica e fotografica, che illustri condizioni particolari dell’immobile – ad esempio: presenza di corpi edilizi aggiunti eterogenei non visibili da parte dei redattori delle indagini del piano – che richiedano diverse modalità di intervento al fine di perseguire un’omogeneità formale o comunque una migliore ridefinizione progettuale rispetto ai caratteri dominanti dell’edificio. Questa disposizione di flessibilità che opera per tutte le altre categorie di edificio storico individuate dalla norma, consente di perfezionare, in ragione delle specifiche condizioni degli edifici, le modalità di intervento. Su questo punto ritorniamo più dettagliatamente in un successivo paragrafo di questa circolare.
–          A2: questa categoria comprende edifici, prevalentemente privati e ad uso abitativo, che pur non avendo un carattere monumentale, sono a tutti gli effetti parte del patrimonio edilizio-architettonico della città.
Sono gli edifici che presentano sui prospetti principali un apparato decorativo, sia in forma architettonica e scultorea (facciate decorate a rilievo) sia in forma pittorica (facciate dipinte) che qualifica lo spazio urbano o che costituisce, comunque, una testimonianza di stili architettonici che fanno parte del patrimonio storico-culturale della città. La norma pertanto prevede, oltre gli interventi ammessi per la categoria precedente, la possibilità, nell’ambito della manutenzione qualitativa, di interventi fino al risanamento conservativo B o, nell’ambito della ristrutturazione, fino alla ristrutturazione semplice r1, con alcune specifiche limitazioni. Il risanamento conservativo Bprevede la possibilità di demolire e ricostruire i volumi delle superfetazioni esistenti al fine di una loro ricomposizione nel contesto dei prospetti e della volumetria dell’edificio principale, conseguendo un limitato ampliamento della superficie utile lorda esistente – ampliamento che varia in ragione della destinazione d’uso preesistente – finalizzata a conseguire i minimi requisiti igienico-sanitari. Un esempio banale – riferito ai casi più frequenti – può chiarire ulteriormente il senso della norma. Sono spesso presenti, nei cortili interni, o comunque sui prospetti edilizi secondari dei fabbricati d’epoca, volumi contenenti servizi igienici inadeguati e realizzati con materiali diversi da quelli del fabbricato principale (es: struttura in profilati metallici a sbalzo, tamponature con infissi in alluminio, copertura in plastica ecc.). In questi casi la norma rende possibile la demolizione di questi corpi aggiunti e la loro ricostruzione in muratura (portante o di tamponamento), con forma, materiali di finitura e di copertura uguali o compatibili con quelli del fabbricato principale, conseguendo un aumento della superficie lorda – come definita all’art.2 delle norme di conformità e congruenza – fino a raggiungere i 5 metri quadrati, dimensione igienicamente accettabile per un bagno. Considerazioni analoghe valgono per superfetazioni con destinazioni d’uso originarie diverse, i cui parametri di riferimento sono già chiaramente indicati nella norma. Su questi edifici è anche ammessa la ristrutturazione semplice, limitatamente, però, agli interventi di recupero dei sottotetti ai sensi della Legge Regionale 24 del 2001, purché non venga mutata l’altezza degli edifici. Questa limitazione esprime un intento di salvaguardia nei confronti degli interventi di ristrutturazione interna che comportino un complessivo svuotamento, e conseguente snaturamento dei caratteri tipologici e distributivi, di immobili che qualificano in modo particolare lo spazio urbano. Tuttavia anche per queste indicazioni possono essere sviluppate motivate circoscritte modifiche della modalità d’intervento sulla base del comma 7 dell’art.12. All’interno della categoria della ristrutturazione semplice ricadono, in questo caso, anche gli interventi di riallineamento di volumi e superfetazioni. In quest’ultima fattispecie sono previsti gli interventi che siano finalizzati a rendere omogenei – previa demolizione – volumi aggiunti che, eterogenei per materiali e forma, presentino una superficie già in esubero rispetto a quella individuata come conseguibile con il risanamento conservativo B, e questo esclusivamente se un – marginale – incremento di Sul può concorrere a rendere più correttamente inserito il volume nella compagine dell’edificio. Si intende in questo modo consentire sia la demolizione e ricostruzione in modo coerente di superfetazioni di maggiori dimensioni, sia, nei casi di edifici pluripiano e plurialloggio, permettere di conseguire una volumetria edilizia uniforme per tutta l’altezza del fabbricato coinvolgendo anche le proprietà non interessate da superfetazioni al fine di conseguire un disegno unitario dei volumi edilizi. Un’esemplificazione può contribuire alla chiarezza: in un fabbricato plurialloggio di tre piani (es: edificio in linea) esiste una superfetazione (es: bagno esterno a sbalzo) solo ad un piano; se l’intervento praticabile fosse esclusivamente il risanamento conservativo B si otterrebbe un ampliamento parziale – limitato cioè all’unità immobiliare effettivamente interessata dalla superfetazione stessa – che determinerebbe unicamente un aggravamento dell’effetto estetico della superfetazione valutato nel complesso del prospetto. Pertanto l’intervento di ristrutturazione r1 consente di uniformare, con un limitato ampliamento per quanto strettamente necessario, anche le rimanenti unità immobiliari al nuovo volume conseguito, e di perseguire un progetto unitario per il prospetto interessato, al fine di ottenere un risultato il più possibile omogeneo. In quest’ottica, cioè, potranno essere assentiti ampliamenti anche per le unità immobiliari non interessate da alcuna superfetazione purché questo conduca ad una soluzione accettabile sotto il profilo tipologico ed estetico.
La norma della ristrutturazione semplice prevede, inoltre, la possibilità di effettuare limitati rialzamenti sui fronti secondari al fine di perseguire omogeneità di forma e pendenza della copertura. In questo modo si intende consentire gli interventi che siano finalizzati a ricondurre le coperture attualmente interessate da interventi eterogenei (svuotamenti o volumi aggiunti estradossati) ad una forma continua, anche attraverso un contenuto rialzamento della falda sui prospetti secondari dell’edificio. Nel contesto della ristrutturazione r1, al fine di applicare le indicazioni derivanti dalla L.R. 24/’01, si rende possibile realizzare aperture nella falda del tetto per rendere i locali sottostanti correttamente illuminati ed aerati, purché queste non comportino alterazioni della sagoma del fabbricato. Nelle norme tecnico-estetiche del regolamento edilizio di nuova stesura saranno fornite ulteriori precisazioni sugli aspetti connessi alla compatibilità architettonica degli interventi sulle coperture.
–          A3: la categoria include gli edifici che maggiormente caratterizzano l’ambiente urbano storico. Sono gli edifici storici che, pur sprovvisti o interessati in misura poco rilevante da elementi decorativi o che pur essendo stati interessati da parziali interventi di ripristino, per la loro forma complessiva, per le caratteristiche tipiche del rapporto tra aperture e superficie muraria dei loro prospetti, e per i materiali edilizi di cui sono fatti, assumono un valore di dominante ambientale e tipologica della città, e devono essere mantenuti almeno in questi aspetti qualificanti. Si cerca pertanto di conservare questi valori anche nell’ambito di un progetto di rinnovo urbanistico-edilizio. Oltre agli interventi ammessi per la precedente categoria, si consente, in questi casi, nell’ambito della ristrutturazione r1, lo svuotamento all’interno dell’edificio per conseguirne un sostanziale rinnovamento, nel rispetto dell’involucro esterno, con la possibilità di insediare nuovi usi, secondo le indicazioni valide per le zone di appartenenza. Si prevede, inoltre, in questi casi, la possibilità, attraverso l’inserimento di nuovi solai, di conseguire un incremento di superficie utile lorda all’interno del volume esistente. Si è inteso, in questo modo, favorire il recupero dei volumi esistenti anche per facilitarne la riconversione a funzioni diverse. All’incremento di Sul superiore al 20% – che è da considerarsi il limite oltre il quale vi è aumento del peso insediativo – conseguito, ad esempio, attraverso l’interposizione di nuovi solai comportante il completo rinnovamento della o delle unità immobiliari, deve corrispondere il reperimento delle relative superfici di parcheggio. Naturalmente, come sarà chiarito nel paragrafo riguardante il mutamento delle destinazioni d’uso nel contesto della presente circolare, ai parcheggi resi necessari dall’incremento di Sul dovranno essere aggiunti quelli determinati dall’eventuale mutamento di destinazione d’uso comportante aggravamento delle condizioni di carico urbanistico.
–          A4: Sono così indicati gli edifici storici che hanno subìto alterazioni rilevanti in epoca recente, che ne hanno modificato in modo sensibile i caratteri e i valori originari, generando una situazione edilizio-architettonica di squilibrio e disomogeneità attraverso ampliamenti, sopraelevazioni o estese modifiche ai prospetti. Sono in questi casi ammessi, oltre i precedenti interventi, la ristrutturazione con ampliamento e rialzamento del sottotetto previsti dalle norme, finalizzati a conseguire uno sviluppo dell’edificio coerente con i criteri di accrescimento edilizio delle specifiche tipologie. Ciò significa che l’ampliamento e il rialzamento previsti sono finalizzati a restituire coerenza e omogeneità al fabbricato, reincorporando e riassorbendo all’interno di nuovi volumi più omogenei e più coerenti con i caratteri tipologici preesistenti gli elementi che generano la condizione di alterazione dell’edificio. La ristrutturazione r2 è in quest’ottica indirizzata a consentire l’ampliamento di tali fabbricati una tantum di massimo 16 mq, ampliamento che in nessun caso dovrà considerarsi come superfetazione, ma che anzi dovrà assecondare, di norma, le modalità tecnico-estetiche a tal fine espresse nel regolamento edilizio di prossima approvazione. Deve essere precisato che tale intervento di adeguamento funzionale può essere attuato come ampliamento del fabbricato, pertanto non potrà determinare, ex novo, un rialzamento dell’edificio, ammissibile solo dove è prevista la ristrutturazione di tipo r3. Potrà tuttavia essere realizzato un ampliamento del fabbricato anche a piani rialzati o a livello della copertura se in essi è già presente un volume ad uso abitativo e purché ciò permetta di conseguire un accrescimento compatibile con la tipologia esistente. Per quanto attiene la possibilità di rialzamento del sottotetto va precisato che esso può essere attuato sia a scopo abitativo, al fine cioè di conseguire i minimi parametri di abitabilità fissati dalla L.R. 24/2001, sia a scopo non abitativo, purché, in entrambi i casi, l’incremento in altezza dell’edificio sia contenuto entro il limite derivante dal raggiungimento, all’interno, di un’altezza di 1,50 ml., misurata dall’estradosso dell’ultimo solaio calpestabile (esistente o di progetto) al punto di intersezione tra l’intradosso del solaio di copertura – considerando come tale, nel caso di solaio in legno, l’orditura secondaria se non è prevista controsoffittatura – e il lembo interno del muro perimetrale. Questo significa che il rialzamento del sottotetto è ammesso anche nel caso in cui non si raggiungano i requisiti minimi di abitabilità, ma si intenda comunque aumentare le altezze interne di vani che manterranno una destinazione d’uso accessoria. Nel centro storico e nei nuclei storici periferici la possibilità di effettuare il rialzamento così definito è limitata in presenza di dorsali, come individuate con apposita simbologia sull’elaborato P1 – tavola di zonizzazione del PUC. In tali casi, infatti, la norma prevede che questi interventi siano resi possibili solo in presenza di una specifica indicazione, che è quella contenuta nelle tavole contrassegnate al n.5 dell’elaborato P6. In esse sono specificamente individuati, in colore blu, gli edifici che, prospettanti su una dorsale, possono essere rialzati – non per parti, ma in modo esteso a tutta l’unità tipologica di appartenenza. Essi rappresentano una selezione operata, all’interno della categoria degli edifici classificati A4, per individuare, attraverso un’apposita indagine qualitativa sulle coperture, le situazioni di particolare compromissione sulle quali è possibile circoscrivere interventi finalizzati ad ottenere una condizione di maggiore omogeneità. In pratica, nell’insieme degli edifici A4, lungo le dorsali del centro storico e di Migliarina, Chiappa, Scorza e Pegazzano, possono essere interessati da rialzamento solo quegli edifici che presentano una copertura particolarmente eterogenea rispetto al contesto storico cui appartengono e che, attraverso il rialzamento, devono conseguire una forma più appropriata, di norma a padiglione. Si intende, inoltre, in questo modo, evitare una generalizzazione del rialzamento su un ambito particolarmente sensibile dell’immagine della città come è, appunto, la dorsale. Gli interventi di ristrutturazione, per questa come per le altre categorie, possono essere attuati contestualmente, secondo un unico progetto.
–          B1: sono così indicati gli edifici di epoca recente costruiti negli ambiti storici e che risultano essere compatibili – per forma complessiva più che per caratteri architettonici – con le volumetrie edilizie circostanti. Gli interventi sono gli stessi previsti per gli edifici A4, con le stesse limitazioni e con la finalità di consentire il rinnovo edilizio compatibilmente con i criteri di accrescimento delle tipologie. Questi criteri sono quelli indicati nel regolamento edilizio nelle norme di carattere tecnico-estetico.
–          B2: sono così indicati gli edifici di epoca recente costruiti negli ambiti storici e che risultano essere in contrasto con le tipologie edilizie circostanti. Gli interventi previsti escludono la ristrutturazione r2, in favore di un’ipotesi di sostituzione da attuare con un intervento di ristrutturazione urbanistica ru1, mantenendo la possibilità di ristrutturazione semplice e di rialzamento. La sostituzione in questi casi non viene disciplinata secondo una specifica tipologia obiettivo – come avviene per gli ambiti di riqualificazione perché l’edificio finale – che potrà, in ogni caso, avere una superficie utile lorda pari a quella preesistente aumentata del 25% – deve potersi adeguare alle diverse condizioni delle differenti situazioni di tessuti storici disciplinati a conservazione, e deve attenersi a criteri di omogeneità con il contesto che saranno valutati dagli uffici e dalla Commissione Edilizia Comunale Integrata. La sostituzione è finalizzata al complessivo rinnovamento dell’effetto sull’immagine urbana in corrispondenza dell’edificio oggetto di intervento: pertanto può anche non rendere indispensabile la preventiva completa demolizione dello stesso se è conseguibile un risultato accettabile di riconfigurazione dell’edificio attraverso interventi che prevedano il parziale mantenimento di alcune parti strutturali.
E’ necessario ricordare che gli interventi possono essere attuati anche contestualmente. E’ possibile, cioè, intervenire contestualmente – ad esempio – con un ampliamento (r2) e un rialzamento (r3), conseguendo nel contesto dello stesso progetto l’estensione di 16 mq per unità immobiliare e l’incremento in altezza teso a conseguire un’altezza minima interna di 1,50 ml.
 
3.3. La gestione della flessibilità negli ambiti di conservazione
 3.3.1 La flessibilità nella individuazione di modalità operative per edificio
L’articolo 12, al comma 7, prevede, come si è detto, la possibilità di rivedere, modificandole, le modalità di intervento sull’intero edificio o su parti di esso qualora vengano messe in evidenza carenze di conoscenza o di giudizio imputabili agli studi del PUC relativamente ad elementi e componenti architettonici, in quanto non direttamente percepibili. Questa norma di flessibilità necessita di alcune precisazioni relative al campo di applicazione e di efficacia, al metodo che sovrintende le decisioni di riclassificazione, alle procedure previste.
Il campo di applicazione e di efficacia della norma è quello degli edifici classificati A ricadenti in ambiti disciplinati all’art.12 – fermi restando i vincoli apposti dalla soprintendenza ai sensi del D.Lgs. 490/’99 – e degli edifici isolati classificati come emergenze all’art. 11/c. In questi casi, se l’edificio in oggetto, per errore di valutazione o per un mero errore tecnico di restituzione grafica dei codici relativi alla qualità dell’edificio contenuti nel Sistema Informativo Territoriale, è stato classificato in modo palesemente in contrasto con la realtà, sulla base della documentazione prescritta, sarà possibile la sua corretta individuazione, e la relativa attribuzione di modalità di intervento pertinenti sull’intera unità tipologica attraverso una determinazione dirigenziale. Se l’alterazione riguarda solo in parte l’edificio, è possibile, attraverso la procedura prevista, attribuire modalità di intervento specifiche alla parte interessata – senza quindi modificare la classificazione dell’edificio -, salvaguardando quelle di valore storico e consentendo interventi specificamente più incisivi nelle parti che generano l’alterazione. Il metodo con cui si procede all’individuazione di queste diverse modalità di intervento è quello coerente con i criteri di tutela del patrimonio edilizio esistente esposti nella Descrizione Fondativa e nel Documento degli Obiettivi: vengono, in particolare, considerate alterazioni significative quelle che interferiscono con i caratteri tipomorfologici dell’edificio, ovvero quelle che hanno determinato effetti palesi contestualmente sulla volumetria dell’edificio, sulla sua distribuzione, sui suoi prospetti, sulla sua struttura, e che non siano recuperabili attraverso interventi di risanamento conservativo o di ristrutturazione semplice. La definizione degli interventi diversi da quelli previsti in norma deve essere suffragata da elementi di conoscenza del fabbricato documentati, e deve essere orientata al recupero dell’omogeneità dell’edificio rispetto ai caratteri tipologici dominanti. Il regolamento edilizio fornisce, al riguardo, alcune indicazioni tecnico-estetiche sulle modalità progettuali e costruttive che possono fornire una migliore precisazione.
 
3.3.2 La flessibilità nella disciplina degli interventi
Nella definizione di ristrutturazione edilizia semplice r1 compaiono alcune formulazioni che rimandano ad una relativa flessibilità l’applicazione della norma. Ciò avviene in particolare quando si parla di riallineamento di volumi e di interventi sulle coperture. Bisogna affermare che i minimi incrementi di Superficie utile lorda finalizzati al riallineamento di superfetazioni – fatte salve le precedenti considerazioni esplicative sulla natura dell’intervento – devono essere consentiti sulla base di una documentata opportunità di intervenire al fine di ricomporre alterazioni dei manufatti edilizi che non siano perseguibili attraverso il semplice risanamento conservativo. Per meglio identificare il concetto di riallineamento nel nuovo regolamento edilizio verranno inserite ulteriori specificazioni. Qui preme solo ribadire, come già si è precisato, la necessità di rendere omogenei, rispetto ai caratteri essenziali dell’edificio principale, i corpi aggiunti, che dovranno perseguire l’attuazione di un disegno unitario e compiuto, assecondandone le linee principali dello sviluppo murario, sia planimetriche che di sviluppo in altezza. La logica con cui assentire minimi incrementi della Sul non potrà che variare caso per caso sulla base delle oggettive, specifiche caratteristiche individue degli edifici, i cui allineamenti principali sono dipendenti dalle caratteristiche tipologiche individuate nella descrizione fondativa (tavola D3). In ogni caso si deve trattare di incrementi non rilevanti in servizi quantitativi rispetto a quanto consentito. Solo attraverso una lettura delle situazioni specifiche è possibile individuare l’opportunità dei singoli interventi, evitando che la generalizzazione di una norma, o il suo riferimento a regole valide astrattamente ma poi difficilmente applicabili diventi un ostacolo all’intervento. I criteri di coerenza che devono comunque sovrintendere alla applicazione delle flessibilità sono quelli di compatibilità con le tipologie esistenti, e gli aspetti architettonici sono definiti – come regola di base adattabile a specifiche necessità – nel regolamento edilizio.
 
4.      Ambiti di riqualificazione in area urbanizzata
4.1. La disciplina degli interventi edilizi
Negli ambiti di riqualificazione, oltre gli interventi già esemplificati per gli ambiti di conservazione, che sono generalmente ammessi – con limitazioni evidenti dalla lettura del testo della norma per i tessuti pianificati e per quelli omogenei – sono previsti, in alcuni tessuti, gli interventi di ristrutturazione urbanistica e di nuova costruzione. Per quegli interventi che comportano la realizzazione di nuovi edifici – sia attraverso la sostituzione di parti urbane esistenti, sia attraverso la vera e propria nuova costruzione – il piano definisce e attribuisce alle diverse parti di città alcune tipologie obiettivo. Queste, piuttosto che costituire una rigida disciplina di architetture, intende essere un modo per favorire il controllo della evoluzione della città esistente attraverso un’immagine guida, uno schema di riferimento che non serve tanto a predeterminare singole architetture quanto, prima di tutto, a indirizzare la forma dello spazio urbano – intendendo con ciò il rapporto tra la forma dell’edificio, la sua posizione rispetto allo spazio pubblico (strada o piazza), e al suo lotto di pertinenza – verso una maggiore, tendenziale omogeneità di ciascun tessuto. Uno schema molto semplificato delle tipologie obiettivo, in cui si spiega in modo elementare che cosa si deve intendere per villino, palazzina e linea è contenuto nell’elaborato P7, al termine della parte introduttiva, alla quale si rimanda per meglio comprenderne i caratteri morfologici, tipologici e funzionali di riferimento. Queste tipologie nascono dalla lettura che è stata fatta del territorio urbano, una lettura, come abbiamo detto, molto dettagliata, edificio per edificio, e rappresentano gli elementi più ricorrenti di ciascun tessuto nelle diverse parti della città. Esse costituiscono quindi il riferimento per una generale ricomposizione dei tessuti secondo un criterio di omogeneità. La tipologia obiettivo contraddistingue i tessuti recenti omogenei, i tessuti recenti disomogenei, i tessuti di impianto storico con presenza di edilizia moderna, nonché i tessuti sparsi collinari e i tessuti collinari di consolidamento – per i quali è sempre il villino. La tipologia obiettivo, inoltre, distingue le parti di tessuto “sature” – quelle cioè nelle quali non sono previsti interventi di nuova costruzione disciplinati con unità minime di intervento (UMI), ma solo fino alla ristrutturazione urbanistica – da quelle “completabili”. Le tipologie obiettivo dei tessuti saturi sono: villino (V), Palazzina (P2, P3, P4), Linea (L2, L3, L4). Quelle dei tessuti in cui sono individuate unità minime di intervento sono: Villino (V1, V2), Palazzina (P1, P3) e Linea (L1). E’ indispensabile a questo punto chiarire alcuni punti della norma per quanto riguarda i parametri di riferimento di ogni tipologia obiettivo.
 
4.1.1 La nuova costruzione nc1
La nuova costruzione nc1 viene disciplinata dal PUC individuando – nell’elaborato P1 – le unità minime di intervento nelle quali è consentita l’edificazione con intervento diretto secondo la tipologia obiettivo prevista e indicata con una sigla composta da una lettera e da un numero. Le unità minime di intervento sono state identificate nell’ambito della possibilità di completare suoli già urbanizzati (dotati almeno di una definita accessibilità stradale) in modo da sviluppare e completare coerentemente, sotto il profilo morfologico e tipologico, i tessuti esistenti. Al fine di una maggiore flessibilità di attuazione, che riduca al minimo le rigidezze derivanti dalla necessità di accordo tra proprietà diverse, sono state previste – e rese maggiormente visibili nel Sistema Informativo Territoriale rispetto a quanto non siano nella stesura della cartografia di PUC – suddivisioni delle unità minime di intervento individuate nell’elaborato P1 del PUC, proporzionate in modo tale da poter consentire la realizzazione di superfici utili compatibili con i valori minimi delle tipologie obiettivo corrispondenti. In questo modo si è cercato, da un lato, di evitare che le piccole proprietà che non raggiungessero in ogni caso i minimi dimensionali per potere edificare il valore minimo di superficie di nuova costruzione (125 mq di Sul per un villino costruito su un lotto di 375 mq) vengano penalizzate da un’effettiva inedificabilità, dall’altro, di evitare che, anche qualora il minimo dimensionale fosse superato, alcune particelle risultassero di fatto inedificabili per problemi di distanza dai confini a causa dell’eventuale ristrettezza del lotto. In questo modo la suddivisione individuata predefinisce lotti di intervento – costituiti in genere da singoli mappali, ma talvolta anche da più particelle – proporzionati all’assetto fisico dell’edificazione, dimensionati cioè in modo tale da poter conseguire le tipologie di intervento previste senza particolari limitazioni derivanti dalle dimensioni e dalla forma dell’articolazione fondiaria. Le particelle catastali che compongono le singole unità di intervento sono elencate nell’elaborato del Sistema informativo territoriale, rendendo inequivocabile la possibilità di scomporre in modo adeguato le unità di intervento già individuate sulla tavola P1 del PUC con apposita tipologia. E’ necessario chiarire che per superficie utile lorda massima si intende, nella norma, la quantità di superficie utile che, compresa entro valori minimi e massimi, deve caratterizzare ciascuna unità tipologica – definita nelle norme all’art.2 delle norme – o, più correntemente, ogni edificio. Questo significa che la dimensione media dei singoli edifici deve essere congruente con la definizione delle singole tipologie obiettivo e l’indice edilizio potrà essere utilizzato coerentemente con questi principi. Nel caso della tipologia a villino, ad esempio, la superficie utile lorda di ciascun edificio non potrà essere inferiore a 125 mq. Pertanto, nei casi di unità minime di intervento che interessino lotti inferiori a 375 mq. è inevitabile la associazione del lotto di intervento con altro lotto sulla base delle suddivisioni delle UMI citate, per poter raggiungere la dimensione minima di superficie utile lorda. In termini generali la superficie utile lorda derivante dall’applicazione dell’indice ad un lotto dovrà essere un multiplo della superficie utile lorda massima indicata per ciascuna tipologia, utilizzando, ove necessario, una flessibilità del 20% per il recupero di eventuale indice residuo. Un esempio – molto banale – può chiarire meglio il concetto utilizzato. Supponiamo di avere un lotto di 2000 mq in un’area urbana interessata da tipologia obiettivo V1 (con indice 0,30 mq/mq). La superficie utile lorda edificabile risultante dall’applicazione dell’indice è di 600 mq. La Superficie Utile Lorda massima è di 240 mq. La norma di piano, dal momento che la Sul dev’essere compresa tra un minimo di 125 mq e un massimo di 240 mq (che, applicando la flessibilità del 20% può essere elevata fino a 288 mq) consente di edificare secondo alcune possibili alternative: tre villini da 200 mq, un villino da 288 mq e due villini da 156, quattro villini da 150 mq, tre villini da 125 mq e uno da 225, ecc. Analoghe considerazioni possono essere applicate al resto della casistica tipologica. Nei tessuti collinari, sparsi e di completamento, la nuova costruzione segue criteri in parte differenti. Innanzitutto esistono differenziazioni di carattere parametrico legate alle diverse localizzazioni nel territorio collinare e che derivano direttamente dalle osservazioni operate dalla Regione Liguria al preliminare di piano nelle quali veniva indicata, prescrittivamente, la necessità di adeguare indici e parametri a differenti situazioni paesistiche. I tessuti sparsi collinari di Foce e Sarbia sono stati in quest’ottica disciplinati come appartenenti a condizioni particolarmente sensibili sul piano paesistico-ambientale e dotati di indici più restrittivi rispetto a S. Venerio, Carozzo, Buonviaggio, Pianazza, Valdurasca, Biassa e Pitelli. In particolare, nel primo caso il lotto minimo edificabile è di 3200 mq e l’indice fondiario 0,12 mq/mq, nel secondo di 1250 mq con un indice 0,20 mq/mq. Va precisato – in aderenza alle norme di carattere generale del piano – che il lotto minimo deve essere unitario (costituito da particelle contigue) e che, nel caso esistano costruzioni sul lotto come configurato alla data di adozione del PUC, sarà in ogni caso necessario scomputare dal calcolo della nuova superficie utile lorda quella esistente. Quest’ultimo aspetto, del resto, ha un carattere di generalità per tutta la riqualificazione, ove, naturalmente – come nel caso delle aree di ricomposizione urbana – non vengano individuate diverse modalità di trattamento dell’edificato esistente. Va, parimenti, ricordato – come del resto già evidente dalla lettura della norma generale – che gli atti di sottomissione relativi alle preesistenti edificazioni mantengono efficacia, nelle aree urbanizzate, unicamente per quanto riguarda i vincoli per le aree di urbanizzazione e quelle di sistemazione a verde pubblico e a parcheggi, peraltro con la possibilità di rilocalizzare le stesse all’interno del lotto di intervento con un nuovo atto di sottomissione.
4.1.2 La nuova costruzione nc2 e le aree di ricomposizione urbana
L’intervento di nuova costruzione convenzionata e quello di ristrutturazione urbanistica ru3 viene disciplinato, per quanto concerne lo schema di orientamento progettuale e gli indici e i parametri, attraverso le schede contenute nell’elaborato P7, che tratta in modo analogo le aree ad attuazione convenzionata e le aree di ricomposizione urbana. Le indicazioni in esso contenute assumono carattere prescrittivo per quanto concerne tipologia obiettivo, destinazioni d’uso e indice di edificabilità. Sono soggette a flessibilità, per quanto riguarda la tipologia obiettivo e l’altezza, solo le aree di transizione tra tipologie di tessuto diverse, e, in tutti i casi, lo schema di orientamento progettuale, che può – in linea generale – essere complessivamente modificato con la redazione di uno studio organico di insieme. Va precisato che gli schemi di orientamento formulati nell’ambito dell’elaborato P7 sono stati redatti con una particolare attenzione all’inserimento delle nuove volumetrie edilizie nel contesto della trama urbana. Essi rappresentano un’ipotesi fondata sulle conoscenze, sulle valutazioni e sui valori riconosciuti all’impianto urbano esistente – che rappresenta l’impronta spaziale più durevole e più faticosamente controvertibile della città –, ipotesi che suggerisce, come si può notare anche ad uno sguardo sorvolante sugli schemi proposti, di irrobustire il ruolo di alcuni assi, di iniettare centralità spaziali e morfologiche nei quartieri, di assecondare le fibre del tessuto circostante (anche quando questo rappresenta, magari nelle aree periferiche, una piccola scheggia di spazio organizzato immersa in un flusso di edificazione apparentemente casuale). Ciò non toglie che non è possibile considerare questi schemi e questi valori come assoluti ed immutabili. Deve invece essere resa possibile la loro adattabilità all’evolvere delle circostanze di fattibilità e la loro discutibilità, pur nel quadro di una descrizione fondativa che è patrimonio comune di conoscenza sulla città e nel rispetto di alcuni valori che hanno una relativa maggiore permanenza. Se mutate esigenze o anche diverse interpretazioni del rapporto con la trama urbana verranno ritenute più appropriate e più coerenti e sostenibili nei confronti del tessuto urbano circostante, queste potranno essere proposte, purché suffragate da un maggiore sforzo di attenzione e di verifica degli effetti, con la predisposizione di un S.O.I. A questo riguardo va precisato che lo studio organico di insieme è prescritto solo nel caso in cui la modifica allo schema di orientamento sia totale o comunque rilevante o riguardi lo sviluppo in altezza dei fabbricati, mentre parziali aggiustamenti, derivanti dagli approfondimenti progettuali, sono inerenti alla sua natura di elaborato di orientamento. In particolare, le variazioni in aumento dell’altezza saranno più facilmente giustificate ed assentibili se il SOI prevederà un corrispondente incremento dell’area di cessione proporzionale alla corrispondente area di sedime liberata dall’edificazione di progetto. Essendo stati elaborati ad una scala “urbanistica”, gli schemi sono, dunque, suscettibili di adattamento, e non vanno comunque intesi come simulazioni realistiche dell’assetto dell’area, ma piuttosto come linee guida. Lo studio organico di insieme viene, peraltro, richiesto dalla norma nel caso di indicazioni alternative per “dimostrare i criteri sviluppati per l’inserimento delle volumetrie di progetto nel contesto urbano circostante”. Vanno fatte alcune precisazioni, e vanno espressi i contenuti di tale studio. La prima considerazione, banale, è stata già affrontata in risposta ad alcune osservazioni presentate in sede di progetto definitivo di PUC, e riguarda la natura giuridica del SOI: esso è stato introdotto dal Piano Territoriale di Coordinamento paesistico della Regione che lo ha definito all’art. 32 bis delle sue norme e assume validità nell’ambito della applicazione della disciplina paesistica di livello puntuale del PUC. In secondo luogo va precisato, in ossequio all’interpretazione che la stessa Regione, unitamente alla Soprintendenza, ha fornito con il “Documento congiunto per l’interpretazione e l’applicazione delle norme del PTCP”, che tale studio” deve essere propedeutico al progetto e non costituirne una prova di correttezza o giustificazione o, peggio ancora, un mero adempimento formale”. Scopo del SOI, in questo senso, è quello di argomentare e di rappresentare in modo adeguato le motivazioni e – soprattutto – gli effetti sullo spazio urbano che il nuovo schema di orientamento introduce. In questo senso, e questa è la terza argomentazione necessaria, vanno chiariti, in questa sede, i contenuti di tale studio. La Regione, nel citato documento congiunto, prevede per la redazione del SOI l’espletamento di una serie di analisi del contesto circostante l’area di intervento, estese per un intorno orientativo di 250 mt., analisi che, rapportate all’entità e alla natura degli interventi, dovrebbero, in sostanza, costituire una sorta di “Disciplina di livello puntuale” mirata a sostenere le ragioni di compatibilità degli interventi (il documento congiunto rimanda espressamente agli “Indirizzi esplicativi e applicativi della normativa del PTCP” emanati dalla Regione con DCR 78/’94). Nel nostro caso, essendo il comune dotato di disciplina paesistica e di una descrizione fondativa articolata per singolo edificio e singolo lotto, l’attenzione – e quindi la finalità – del SOI dovrà piuttosto concentrarsi, prima ancora che su un eventuale approfondimento delle conoscenze (pur sempre ammissibile visto che le indagini sono state fatte 6 anni fa), sulle reali modificazioni introdotte dal nuovo schema progettuale. Pertanto gli elaborati dovranno prevedere: lo schema di assetto dell’area proposto, inserito in un ambito urbano organicamente inquadrato (si preferisce non prescrivere un raggio in metri in ragione della variabilità dei contesti e delle dimensioni delle aree) con evidenziati gli eventuali elementi del contesto che si ritengono rilevanti in ordine alla definizione del nuovo progetto nonché gli elementi che possano concorrere ad un aggiornamento del PUC (es: nuovi edifici realizzati dopo l’espletamento delle indagini, errori nella DF, ecc.); una serie sufficiente di viste a volo d’uccello e – importanti – ad altezza d’uomo con eventuali fotomontaggi per rendere comprensibile l’effetto percettivo del nuovo spazio urbano in relazione alle preesistenze circostanti; fotografie in numero sufficiente ad inquadrare gli elementi più significativi del contesto; un elaborato di raffronto schematico tra l’assetto contenuto nel PUC e quello proposto. La valutazione del SOI sarà di competenza, oltreché degli uffici, della commissione edilizia integrata e, in ultimo, della stessa giunta municipale che sulla base del nuovo schema dovrà ratificare le convenzioni ad esso riferite.
Un’altra questione di notevole rilevanza – e che ha una qualche attinenza con i criteri di redazione del SOI – è quella relativa alla possibilità di attuare gli interventi di tipo convenzionato (nc2 o ricomposizioni urbane), per subcomparti di dimensione inferiore a quelli individuati come unità minime di intervento nell’elaborato P7 – e fermo restando che è possibile intervenire contestualmente attuando più unità minime di intervento. Tale possibilità rappresenta un’eccezionalità in quanto la dimensione delle aree è sempre limitata, a differenza dei distretti di trasformazione, e poiché di norma deve essere attuata l’intera unità minima di intervento, condizionata dalla necessità prioritaria di non inficiare il buon esito complessivo dell’attuazione del progetto prefigurato dal PUC. La condizione di compatibilità posta dalla norma in questo aspetto della flessibilità è che i lotti autonomi di intervento proposti siano “funzionali e connessi alle previsioni dell’Unità Minima di Intervento, comprovata da uno schema di assetto complessivo da approvare da parte del Comune.” Con questa indicazione si pongono in evidenza almeno due aspetti gestionali e procedurali che vanno definiti in questa sede. Innanzitutto va chiarito – qualora ciò non fosse già evidente dalla lettura della norma – che, a differenza dei distretti di trasformazione, non esistono limitazioni dimensionali per l’individuazione di subcomparti, ma solo limiti legati alla coerenza dell’assetto complessivo risultante dall’attuazione per singoli lotti, nonché la salvaguardia rispetto ai diritti edificatori dei terzi compresi nella unità minima di intervento, i quali dovranno comunque essere interpellati – con le stesse procedure previste per i distretti di trasformazione – per esprimere le proprie intenzioni in ordine alla partecipazione o meno all’intervento. Pertanto, ragionando per estremi, sarà possibile attuare anche in minima parte l’area ad attuazione convenzionata o di ricomposizione se ciò è coerente con il rispetto degli indici e parametri e dello schema di orientamento progettuale, ovvero se questo viene modificato in modo tale che sia comunque conseguibile il riassetto dell’area sotto il profilo della viabilità – ove eventualmente prevista entro lo schema originario – e della dotazione e collocazione delle aree per servizi in riferimento alle aree urbane esistenti circostanti. In altre parole: la eventuale nuova configurazione dello schema progettuale dovrà consentire il raggiungimento di un assetto coerente con le finalità di riorganizzazione urbana delle ricomposizioni e non dovrà impedire l’attuazione – in fase successiva – da parte delle proprietà resistenti. La valutazione preventiva della proposta di subcomparto verrà effettuata dagli uffici, sarà valutata dalla commissione edilizia integrata, e verrà ratificata dalla Giunta Comunale contestualmente all’approvazione della convenzione urbanistica che dovrà accompagnare il titolo di intervento. Tale convenzione dovrà individuare, oltre agli elaborati di progetto – ivi incluso l’eventuale SOI – i soggetti, gli obblighi, le modalità di intervento relativi a: cessione delle aree pubbliche previste negli elaborati di PUC; urbanizzazioni primarie, urbanizzazioni secondarie e loro eventuale prioritaria esecuzione diretta a scomputo degli oneri ovvero determinazione del contributo per oneri di urbanizzazione; determinazione del contributo per costo di costruzione; intese con aziende e enti erogatori di servizi; i termini massimi per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione; le garanzie cauzionali per gli adempimenti previsti; i termini temporali massimi per l’esecuzione degli interventi; le responsabilità relative all’esecuzione dei lavori; i provvedimenti relativi alle eventuali inadempienze da parte degli operatori.
 
4.1.3 La ristrutturazione urbanistica ru1
La ristrutturazione urbanistica ru1 è normata in due differenti modi. Negli ambiti di conservazione – diversamente da quelli di riqualificazione – senza una specifica tipologia obiettivo, ed esclusivamente per gli edifici classificati come B2. Ciò è motivato dal fatto che negli ambiti di conservazione la ristrutturazione sostitutiva deve potere essere applicata in modo generalizzato sugli edifici che costituiscono una alterazione del paesaggio urbano storico, senza particolari limitazioni che non siano quelle derivanti dalla normativa igienico-sanitaria per i requisiti dimensionali minimi degli alloggi, al fine di rendere recuperabili a condizioni prestazionali ed estetico tipologiche soddisfacenti anche i manufatti di piccola dimensione, consentendo cioè un’azione capillare di riqualificazione puntuale. La compatibilità formale e tipologica dei nuovi manufatti risultanti dall’incremento di Sul del 25% sarà valutata caso per caso da uffici e commissione edilizia integrata sulla base della loro omogeneità con il contesto storico cui appartengono. Negli ambiti di riqualificazione la ristrutturazione urbanistica ru1 è “guidata”, analogamente alla nuova costruzione nc1, da specifiche tipologie obiettivo, e deve rispettare i limiti di altezza specifici e seguire i caratteri morfologici essenziali delle specifiche tipologie – come sommariamente illustrati nell’introduzione dell’elaborato P7 -, mentre non si prevede un limite minimo (se non quello derivante dall’applicazione delle norme igienico-sanitarie ed edilizie riguardanti i requisiti minimi di superficie per le diverse funzioni ammesse) onde favorire, analogamente a quanto già detto per la conservazione, i processi di sostituzione e di ricomposizione anche in situazioni di piccola dimensione. La ristrutturazione urbanistica è ammessa con gli indici e i parametri relativi alla nuova costruzione anche negli ambiti non saturi, ed è in tutti i casi finalizzata prevalentemente a favorire la sostituzione di quegli elementi del patrimonio edilizio esistente che non siano omogenei, sotto il profilo morfotipologico, con il contesto. Dato il carattere sostitutivo della ru1, essa è principalmente rivolta al rinnovo delle parti urbane caratterizzate da edifici fatiscenti o eterogenei – ad esempio capannoni – che, per la loro piccola dimensione, non siano stati individuati come aree di ricomposizione urbana, che potranno così essere ricostruiti con caratteri tipologici omogenei e con le funzioni previste per le rispettive zone. Pertanto, negli ambiti in cui essa è consentita, sarà possibile applicare la ru1 per demolire – ad esempio – un manufatto ad uso produttivo per ricostruire – secondo i parametri della tipologia obiettivo – più edifici in proporzione alla Sul complessiva (esistente più 25%) con le destinazioni d’uso ammesse per il sottoambito di appartenenza – ad esempio due edifici a palazzina con funzioni residenziali e terziarie.
 
4.1.4 La ristrutturazione urbanistica ru2
E’ un intervento finalizzato principalmente alla rimodellazione dei fronti urbani su strade e piazze pubbliche, teso a compensare gli squilibri, occasionalmente presenti nel tessuto edilizio, che sono costituiti da differenze di altezza in edifici i quali possono essere o riallineati o comunque rialzati di un intero piano utile al fine di concorrere ad una maggiore omogeneità del tessuto. La sopraelevazione deve avvenire attraverso la traslazione in senso verticale del fabbricato esistente in modo uniforme su tutto il perimetro. All’intervento di tipo ru2 negli ambiti di riqualificazione sono contestualmente associabili sia gli interventi r1 e r2, che la ristrutturazione urbanistica ru1, al fine di conseguire un’immagine urbana coerente e di promuovere la ristrutturazione del patrimonio esistente. Negli ambiti di conservazione in cui siano presenti edifici per i quali è ammesso l’intervento ru2, oltre alla sopraelevazione sono consentiti esclusivamente gli interventi previsti per il codice corrispondente individuato sull’elaborato P6. Gli interventi di sopraelevazione ru2 sono limitati dall’applicazione del D.M. 1444/’68 per quanto attiene le distanze minime da rispettare tra pareti finestrate. Ciò implica che nel caso in cui un edificio per il quale è stata prevista la possibilità di una sopraelevazione si trovi a distanza inferiore ai 10 metri da una parete finestrata, l’intervento potrà essere realizzato con un arretramento. In questi casi l’intervento dovrà essere valutato – oltre che dagli uffici per quanto di competenza – dalla commissione edilizia integrata che potrà anche optare per un diniego qualora la sopraelevazione dovesse configurare un’alterazione grave dell’immagine urbana risultante o dei caratteri morfologici del tessuto edilizio e una deformazione indebita della volumetria edilizia esistente. Tuttavia, dato il livello di relativa analiticità con cui sono stati individuati i diversi casi previsti dal piano, si ritiene che una tale eventualità – comunque da non escludere – non sia particolarmente diffusa sul territorio. Comunque, anche per questo tipo di valutazione, è inevitabile uno sguardo concentrato sul singolo caso.
 
 
 
 
 
4.2. La disciplina delle destinazioni d’uso negli ambiti di conservazione e di riqualificazione
Gli articoli 12 e 13 della norma individuano, rispettivamente ai commi 2 e 3, le destinazioni d’uso comuni a tutti gli ambiti di conservazione e riqualificazione. Per ogni sottoambito, vengono indicate le destinazioni d’uso che, oltre quelle comuni – formulate in modo generalizzato con un’ampia articolazione di opzioni funzionali per poter garantire l’indispensabile mescolanza di usi che è un requisito imprescindibile per la vitalità dei tessuti urbani -possono essere insediate attraverso uno qualsiasi degli interventi ammessi, oppure senza opere. La norma rende prescrittivo, nel caso di intervento lungo una dorsale, privilegiare l’insediamento di funzioni speciali, per mantenerne efficiente il carattere di polarità. Le destinazioni d’uso potranno essere individuate senza alcuna limitazione specifica e senza criteri di composizione percentuale, purché siano rispettati i criteri fissati all’art.7 e all’art.9 per quanto riguarda gli eventuali mutamenti di carico urbanistico. Questo significa che le funzioni previste, quelle comuni e quelle caratteristiche di ogni sottoambito, sono totalmente intercambiabili, fatto salvo il rispetto delle norme sul passaggio a diversi carichi urbanistici. A puro titolo di esempio, un edificio ad uso artigianale potrà diventare ad uso misto residenziale, terziario diffusivo e commerciale – nei limiti delle destinazioni di zona e ferma restando l’eventuale compensazione delle differenze di carico urbanistico – attraverso una ristrutturazione edilizia di tipo r1 con cui si preveda, oltre gli altri interventi, di interporre nuovi solai all’interno del volume preesistente. Se viene conseguito un incremento di superficie oltre il 20%, con il conseguente, completo rinnovamento della o delle unità immobiliari oggetto di intervento, è necessario computare e prevedere nuove aree a parcheggio determinate dall’incremento di Sul. Sono sempre da prevedere ulteriori superfici a parcheggio derivanti dal passaggio a più elevato carico urbanistico. Di più, se l’edificio ad uso artigianale ricadente in conservazione è classificato B2, e in ogni caso se è ricompreso in un ambito di riqualificazione, la ristrutturazione ru1 può concretizzarsi in una sostituzione con incremento della Sul del 25% con cambio di destinazione d’uso, ad esempio misto abitativo artigianale, terziario diffusivo e commerciale
Per quanto attiene la questione della compatibilità ambientale delle funzioni artigianali nei tessuti a prevalente destinazione residenziale va precisato quanto segue: le attività artigianali di cui all’art.7 individuate come U2/4 sono escluse negli edifici pluripiano a tipologia e carattere prevalentemente residenziale quando consistano in:
1. attività insalubri di 1 classe di cui al D.M. 5.9.94 e successive modificazioni e integrazioni
2.       tutte le altre attività che non presentino le seguenti caratteristiche:
a)       non autocertifichino con atto controfirmato da tecnico competente il rispetto dei limiti di classificazione acustica
b)       non autocertifichino l’impossibilità di contaminare suoli
c)       non siano ricompresi tra le “attività ad inquinamento atmosferico poco significativo” di cui al DPR 25/7/91 capo III allegato I.
In fabbricati indipendenti e a carattere esclusivamente non residenziale le attività previste dall’art.7 lettera c) (U2/4) sono consentite solo se il grado di inquinamento e rumorosità viene preliminarmente valutato dagli organi tecnici competenti, compatibile sulla base di specifiche documentazioni, con il contesto ambientale e di vivibilità dell’abitato circostante.
Sotto un profilo più generale, il mutamento della destinazione d’uso viene disciplinato all’art.8 delle norme di conformità e congruenza. La norma, in particolare, tende a liberalizzare il mutamento d’uso nell’ambito dello stesso carico urbanistico, prevedendo una semplice comunicazione nel caso non siano previste opere edilizie, e nel rispetto delle altre norme di PUC. Preme ricordare, a questo riguardo, che nel caso vi sia un mutamento d’uso anche senza opere e nell’ambito dello stesso carico urbanistico verso una funzione che preveda l’apertura al pubblico di locali, dovranno essere in ogni caso rispettate le norme relative all’abbattimento di barriere architettoniche nei termini e nelle modalità fissati all’uopo dal regolamento edilizio comunale e dalla legislazione vigente. Nel caso siano previste opere, la norma di piano afferma che il tipo di provvedimento abilitativo sarà rilasciato in rapporto al tipo di intervento edilizio. Nel caso in cui vi sia un mutamento d’uso verso categorie di carico urbanistico maggiore, la norma prevede la necessità di reperire la superficie differenziale di parcheggi. In tal caso, sarà necessario in ogni caso un provvedimento abilitativo appropriato, anche qualora non vi siano opere edilizie connesse, nel contesto del quale definire e localizzare le quantità aggiuntive di parcheggi da prevedersi: pertanto il provvedimento abilitativo, nel caso di cambio d’uso a carico urbanistico maggiore, sarà in ogni caso – con o senza opere – necessario allo scopo di controllarne – o asseverarne – la compatibilità con l’assetto territoriale previsto per la zona di intervento e di determinarne l’eventuale conguaglio del contributo concessorio. L’eventuale monetizzazione delle quote di parcheggi è in generale resa possibile, come ultima ratio e per interventi minori quando venga dimostrata, con appropriata documentazione, l’impossibilità del reperimento degli spazi necessari, tra l’altro possibile nel raggio di 300 metri.
 
  1. La disciplina della flessibilità nei distretti di trasformazione
5.1 Flessibilità degli schemi di impianto urbanistico ambientale ed ecologico e nella individuazione di sub-comparti
La disciplina dei distretti è molto articolata e dettagliata. Preme qui affrontare solo alcune questioni di non immediata evidenza alla lettura del testo della norma. I distretti di trasformazione, è noto, vengono disciplinati secondo gli schemi e i parametri urbanistico edilizi contenuti nell’elaborato P4 del PUC. Tali prefigurazioni individuano una scomposizione del territorio in parti edificabili e di pertinenza privata e aree di cessione. Questa suddivisione ha non solo un valore di assetto urbanistico, ma anche un preciso valore ecologico-ambientale e paesistico. Sono indicazioni che, disciplinando la scomposizione del suolo in ambito urbano su aree di grande dimensione, assumono un valore rilevante. Tuttavia, sulla base della presentazione di un progetto alternativo accuratamente motivato sulla base di esigenze determinate da situazioni di fatto, è possibile proporre diverse configurazioni localizzative nel rispetto delle quantità predeterminate dal PUC. La flessibilità degli schemi di impianto urbanistico ambientale ed ecologico richiede, però, un necessario aggravio procedurale – dovuto alla necessità di verificare la congruenza del nuovo assetto rispetto al quadro strutturale ed ecologico-ambientale complessivo fissato dal PUC – ovvero la presentazione di un Progetto Urbanistico operativo. La norma infatti prevede che se le indicazioni grafiche localizzative e i parametri di altezza dell’edificazione sono rispettati, è possibile approvare il progetto del distretto attraverso le procedure e i contenuti previsti per la concessione edilizia convenzionata, come definita all’art.49 della legge urbanistica regionale.
Di norma, i distretti devono essere attuati sull’intera area o sui subcomparti già prefigurati dal PUC. La norma prevede – al comma 3 dell’art.16 – la possibilità di attuare gli interventi, esclusivamente se sono conformi agli schemi dell’elaborato P4, per sub-distretti ulteriormente definibili in sede attuativa e con l’obbligo di redigere un Piano Urbanistico Operativo – e con le relative procedure – se la superficie utile da essi prefigurata è almeno il 51% di quella complessivamente ammessa nel distretto. Quindi l’attuazione del distretto aderente ai parametri e agli schemi di impianto urbanistico ambientale ed ecologico – e solo in questa ipotesi – è consentita per sub-comparti, purché la loro attuazione sia funzionalmente relazionata al progetto complessivo e purché la Sul costruibile – tenuto conto delle superfici territoriali e degli eventuali manufatti da demolire con recupero di Sul – sia almeno il 51%. Il comune può recepire, attraverso uno strumento attuativo di iniziativa pubblica anche successivamente all’attuazione di quello privato, la restante parte del distretto. Di diversa natura l’indicazione del comma 6, che – in conformità a quanto stabilito dalla legge urbanistica regionale – prevede la possibilità di attuare il distretto con la disponibilità del 75% della proprietà attraverso un Progetto Urbanistico Operativo utilizzando, eventualmente, la contestuale flessibilità degli schemi di impianto urbanistico ambientale ed ecologico, che potranno essere, in sede di elaborazione del progetto, motivatamente modificati. In questo caso lo schema di assetto generale facente parte del PUO dovrà essere esteso all’intero distretto e, una volta approvato, diventerà vincolante per l’attuazione delle previsioni da parte privata sulla proprietà residua, che potrà in ogni caso essere espropriata dal Comune con un PUO di iniziativa pubblica.
I perimetri dei distretti sono stati tracciati sulla cartografia tecnica regionale e sulla mappa catastale ad una scala di rappresentazione che non consente di determinare in modo esatto l’entità della superficie territoriale reale. Pertanto al fine della corretta individuazione della stessa farà fede la superficie catastale anche aggiornata sulla base di un rilievo dettagliato. Sempre a riguardo dell’esatta determinazione della superficie territoriale, va fatta una precisazione per quanto riguarda la disciplina degli edifici esistenti da conservare ricadenti nei distretti di trasformazione. A tale riguardo, oltre a quanto già chiaramente espresso nella norma circa la loro non incidenza nel calcolo della superficie utile lorda di progetto, va altresì precisato che la loro area di sedime non concorre alla determinazione della superficie territoriale e, quindi, alla determinazione della nuova Sul e della corrispondente area di cessione.
 
  1. La disciplina edilizia nelle aree extraurbane
6.1 Interventi sul patrimonio edilizio esistente e nuova costruzione in zona agricola
La disciplina sul patrimonio edilizio esistente nelle aree extraurbane prevede la possibilità generalizzata di effettuare gli interventi di ristrutturazione edilizia previsti all’art. 6. Questo implica, ovviamente, la possibilità di intervenire sugli edifici esistenti – anche contestualmente – con tutte le categorie previste dall’art.6, inclusive di ampliamento e di rialzamento del sottotetto. Gli edifici residenziali esistenti potranno essere ampliati fino a 75 mq per ogni unità immobiliare ad uso abitativo. L’unica limitazione che opera in tali aree è quella per gli edifici in muratura portante – con ciò intendendo gli edifici storici, edificati prima del secondo conflitto mondiale – che devono ritenersi, per quanto in assenza di una classificazione puntuale come quella operata per gli edifici nell’ambito urbano, in generale elementi significativi del paesaggio costruito dell’ambito collinare soggetti alle modalità operative coerenti con i criteri di valutazione del valore architettonico e ambientale che informano la disciplina dell’edificato storico delle aree urbane. Pertanto, in questi casi, l’assentibilità degli interventi di ristrutturazione edilizia – ed in particolare di quegli interventi come il rialzamento e l’ampliamento – è in ogni caso subordinata ad una valutazione degli uffici e della commissione edilizia integrata che potranno anche portare al diniego degli interventi se questi saranno giudicati – con le opportune puntuali argomentazioni che saranno motivate con i criteri analoghi a quelli che operano per le emergenze e per gli ambiti di conservazione in area urbanizzata – impropri rispetto al prioritario obiettivo di conservare i caratteri storico-architettonici dell’edificio. Sugli edifici ad uso abitativo esistenti è sempre ammesso il cambio di destinazione d’uso a scopo turistico ricettivo e di ristorazione. A tale riguardo va specificato che sono sempre ammesse, nell’ambito delle funzioni ricettive, le destinazioni agrituristiche e quelle previste come ricettività extralberghiera disciplinata dalla L.R. 13 del 1992, inclusive dei bed and breakfast. La nuova costruzione a scopo abitativo dev’essere sempre subordinata all’effettivo svolgimento di un’attività agricola da disciplinare con un PAMAA che va realizzato nell’arco massimo di tre anni secondo le quantità che lo schema contenuto nell’articolo 20 esprime per ogni tipo di coltura in modo inequivocabile. Va precisato che le tare sono le aree che devono essere dedotte dal calcolo della superficie a coltura e sono da identificare con le superfici coperte da edificazione e da sistemazioni esterne che non siano quelle connesse alla conduzione dell’attività agricola come: strade di accesso, piazzali di parcheggio, giardini. Tutte le altre superfici eventualmente non coltivate ma comunque connesse alla conduzione agricola, come ad es. superficie coperta di annessi, ingombri di cisterne, spazi di deposito per i prodotti dello sfalcio, per il ricovero di animali da cortile ecc., non vengono considerati tare ai sensi dell’articolo in oggetto. Va inoltre precisato che la norma, per quanto assuma come ammissibile l’attività di allevamento, nella definizione delle colture prende in esame l’eventualità di piccole aziende in cui la componente zootecnica non sia rilevante e la conduzione di un’attività agricola ricada entro le tipologie colturali tipiche del territorio. Nel caso in cui le attività zootecniche siano integrate con una conduzione agricola, si ritiene che la superficie ad essa dedicata debba essere computata agli effetti della realizzazione di abitazioni e-o manufatti tecnici come superficie coltivata con la stessa tipologia della coltura prevalente sul lotto: ad esempio 1000 mq di terreno destinati ad allevamento in un fondo prevalentemente destinato a vigneto-uliveto concorrono nella stessa misura di quest’ultima tipologia colturale alla determinazione della superficie necessaria per l’edificazione. I suoli oggetto di PAMAA dovranno essere reperiti nell’ambito di uno stesso Organismo Territoriale Elementare. Si è in questo modo ritenuto di rendere più aderente ai caratteri ambientali del territorio l’individuazione degli ambiti entro cui è possibile asservire quote di terreno per l’edificazione in zona agricola, che nel precedente piano regolatore era affidata ad un criterio numerico di distanza. Gli OTE sono infatti suddivisioni organiche del territorio condotte nella descrizione fondativa (elaborati B4 e Pr1) sulla base degli studi di natura paesistica ed agronomica per il territorio collinare, ed individuano le originarie suddivisioni del paesaggio agrario collinare. Sono in questo modo stati individuati degli ecosistemi rurali sulla base dei criteri stabiliti dalla Regione Liguria per la redazione della disciplina paesistica puntuale (D.G.R. 78/’94) entro cui operare in modo organico per una ricostruzione degli equilibri idrogeologici e paesistici del territorio collinare. Inoltre, i terreni asservibili potranno essere individuati anche se ricadenti in diverse destinazioni di piano, sempre però nel contesto del territorio extraurbano. In tal senso potranno essere asservite parti di territorio individuate come – ad esempio – territorio di presidio o territorio non insediabile, purché la previsione del PAMAA ne preveda una destinazione agricola ove ciò sia reso possibile da eventuali altri vincoli derivanti, a puro titolo di esempio, dalla presenza di bosco. Il PAMAA sarà valutato dagli uffici che si avvarranno della consulenza di un agronomo incaricato dall’amministrazione, che valuterà la correttezza del piano nell’ambito dell’istruttoria del progetto edilizio e ne verificherà la corretta e completa attuazione dopo la fine dei lavori. Per quanto attiene la disciplina delle destinazioni d’uso, sono sempre consentite attività agrituristiche, che potranno essere espletate anche nei locali di edifici abitativi di nuova costruzione. La norma prevede che se esistono sul lotto di intervento altri edifici, questi vanno mantenuti o ristrutturati attribuendo ad essi le superfici che corrispondono ad una unità aziendale da disciplinarsi attraverso PAMAA con i parametri della nuova costruzione e a prescindere dalle dimensioni del fabbricato esistente, per il quale sarà comunque garantita la possibilità di raggiungere i 75 mq previo ampliamento. I fabbricati residenziali esistenti potranno inoltre essere ampliati per dimensioni comprese tra 75 e 150 mq attraverso la realizzazione di un PAMAA in proporzione alle dimensioni dell’azienda. Nel caso in cui i fabbricati esistenti – che facciano o meno parte di un lotto in cui sia prevista la nuova costruzione – siano nello stato di rudere, al fine di poter essere recuperati come edifici esistenti agli effetti della norma, sarà necessario rappresentarne lo stato originario sulla base di idonea documentazione. In mancanza di documenti e qualora non sia ricostruibile dallo stato attuale del fabbricato una precisa definizione del volume preesistente, gli uffici e la commissione edilizia integrata potranno valutare l’opportunità di una ricostruzione sulla base dei criteri tipologici desumibili dai resti del fabbricato e dai suoi allineamenti ancora leggibili. Nel caso in cui l’altezza dei muri perimetrali del rudere non raggiunga quella di un vano abitabile, l’altezza massima ricostruibile sarà quella di un solo piano fuori terra, fatto salvo il caso in cui idonea documentazione dimostri l’esistenza originaria di altri piani abitati. Per i fabbricati non residenziali si potrà effettuare il cambio d’uso a scopo abitativo purché non siano presenti sullo stesso lotto altre unità abitative e purché siano connessi ad un lotto di terreno proporzionale ad un indice di 0,01 e a condizione che venga raggiunta una Sul minima di 75 mq dopo l’intervento di ristrutturazione. Pertanto tale tipo di intervento sarà possibile esclusivamente se la proprietà assservita raggiunge i 7500mq.
 
 6.2 Interventi sul patrimonio edilizio esistente e nuova costruzione in zona di presidio ambientale
Nei territori di presidio valgono criteri analoghi a quelli definiti per le zone di produzione agricola. Va sottolineata la natura potenzialmente “transitoria” del territorio di presidio ambientale, che, a norma del comma 3 dell’articolo 21, sulla base della predisposizione di un appropriato PAMAA, può sempre essere riportato alla condizione di territorio di produzione agricola a tutti gli effetti, qualora non sia già destinato ad usi agricoli. Ciò è pertanto valido sia per la nuova costruzione di edifici ad uso abitativo – per i quali sarà in ogni caso necessaria la predisposizione di un PAMAA che documenti, tra l’altro, le tipologie colturali in atto o quelle previste – che per gli annessi agricoli, per i quali valgono, in difetto dei requisiti minimi dimensionali, le stesse norme delle aree di produzione agricola. Si interpreta peraltro in linea generale come auspicabile che la rimessa a coltura – oltre, dunque, la semplice pulizia dei terreni e dei corsi d’acqua – delle parti di territorio attualmente abbandonate avvenga nella misura più ampia al fine di garantire con un maggiore vincolo di efficacia e con una più incisiva ricaduta anche sul paesaggio collinare. Per quanto riguarda i criteri di asservimento di lotti non contigui, deve essere sottolineato – al fine di rendere maggiormente concentrate e più continue le azioni di manutenzione diffusa del territorio – che gli ambiti di riferimento non sono più gli Organismi Territoriali Elementari ma loro suddivisioni di minore estensione (Sub –OTE), che coincidono con versanti unitari del territorio collinare. Sugli edifici residenziali esistenti la possibilità di ampliamento è limitata al raggiungimento di 60 mq per ogni unità abitativa. Sugli edifici residenziali esistenti che siano costituiti di unità abitative con una superficie utile lorda superiore a 60 mq è comunque ammesso l’ampliamento una tantum di 16 mq (r2).
6.3 Disciplina edilizia dei territori non insediabili e delle aree libere dei nuclei storici collinari e costieri e degli aggregati storici collinari
Nei territori non insediabili sono generalmente ammessi gli interventi di ristrutturazione edilizia sugli edifici esistenti, con condizioni analoghe a quelle espresse per le aree di produzione agricola e per i territori di presidio ambientale. Non vengono ammessi interventi di nuova costruzione, con l’esclusione delle aree di filtro, per le quali sono ammesse l’edificazione di manufatti accessori – a condizione dell’esercizio di un’attività agricola – e la realizzazione di aree a parcheggio nei lotti adiacenti il tessuto urbano. Vale la pena ricordare che le aree di filtro sono state individuate tra le aree interstiziali e di margine del tessuto edificato o a corona dei nuclei storici collinari come spazi di transizione dall’urbano al rurale, vere e proprie aree di salvaguardia ambientale, per le quali sono comunque appropriate le minime edificazioni accessorie all’uso agricolo e la localizzazione di spazi di urbanizzazione – come i parcheggi, i quali devono ovviamente risolvere problemi non di singoli utenti ma riferiti ad una comunità di abitanti – che talvolta proprio a margine dell’edificato o a corona dei nuclei storici collinari trovano una collocazione appropriata e strategica sul piano del miglioramento dell’accessibilità e della sosta. Nelle aree libere dei nuclei storici collinari e costieri e negli aggregati collinari disciplinate a conservazione ed equiparate alle zone filtro è possibile pertanto realizzare strutture di parcheggio pertinenziale, sia in superficie che interrate, purché esse siano risolutive di problemi di sosta complessivi e non limitati al singolo proprietario, data la delicatezza dei luoghi e il relativo inserimento ambientale.
 
7. La disciplina del recupero a fini turistici e ricettivi
Il piano ha tra i suoi obiettivi principali quello di favorire la diffusione nel territorio di attività turistiche, privilegiando – al di là delle previsioni di più ampia scala contenute nei piani d’area, nei distretti di trasformazione e nelle aree di ricomposizione urbana, in cui all’insediamento di funzioni alberghiere vengono fatte corrispondere specifiche misure di flessibilità e deroga – l’insediamento capillare di funzioni ricettive. Per questo motivo la disciplina degli usi negli ambiti di conservazione e di riqualificazione generalizza la possibilità di insediare funzione ricettive alberghiere ed extralberghiere. La norma dedica l’art. 26 alla disciplina degli interventi di recupero a fini turistico ricettivi, individuando specifiche incentivazioni sia per le strutture alberghiere esistenti e in progetto, sia per gli edifici a destinazioni diverse da trasformare in albergo, sia per l’insediamento di funzioni ricettive su edifici esistenti lungo il sistema della dorsale collinare. Tali incentivazioni consistono essenzialmente nella possibilità di dotare le strutture esistenti dei necessari spazi e volumi accessori e di servizio, degli impianti tecnologici, di piscine, spazi per campeggio, parcheggi, ecc, nonché l’ampliamento e la sopraelevazione di un piano se questi sono finalizzati al miglioramento qualitativo dell’offerta in relazione ai servizi alberghieri. La norma prevede inoltre la possibilità di aumentare di 4 camere gli alberghi esistenti e di ampliare fino a 200 mq quelli non alberghieri che intendono trasformarsi. Incrementi di Sul superiori a quest’ultimi – definiti di adeguamento funzionale – sono consentiti solo attraverso interventi di sostituzione preventiva (ru1) comportanti il raddoppio dei posti letto esistenti non oltre ile 120 unità. Oltre questi livelli, è necessaria, per raggiungere più ampie dimensioni, la predisposizione di un PUO. Sugli edifici esistenti destinati ad attività ricettiva sono consentiti interventi di ampliamento fino al raggiungimento della dimensione di 300mq oltre quelli necessari alla realizzazione di spazi e volumi di servizio. Gli stessi parametri vengono attribuiti dalla norma agli edifici esistenti che siano ubicati lungo il sistema della dorsale collinare, nella fascia di pertinenza del percorso appositamente tracciata nell’elaborato Pr6 – Proposte per il sistema turistico – come “fascia per servizi e agriturismo”. Tutti questi parametri di accrescimento che sono stati dimensionati come potenzialità massime dovranno comunque tenere conto innanzitutto delle logiche di accrescimento delle specifiche tipologie, nonché di quanto espressamente indicato nelle norme di natura paesistica: nelle aree extraurbane, in particolare, esse dovranno rispettare le limitazioni per gli interventi sugli edifici in muratura, che impongono – in ogni caso – una verifica di compatibilità, come descritta nei precedenti paragrafi, degli interventi proposti con i caratteri storici e tipologici dei manufatti edilizi interessati. Pertanto anche l’entità degli ampliamenti potrà – in casi specifici – essere eventualmente ridimensionata al fine di rendere tali incrementi volumetrici compatibili sotto il profilo paesistico-ambientale con i caratteri del contesto. Nelle zone di conservazione verranno valutati caso per caso sulla base della modalità operativa assegnata all’immobile e della flessibilità della norma.