2.2. I piani del secondo dopoguerra

Il Piano Regolatore Generale redatto da Moroni, Amati, Malatesta e Di Cagno, adottato nel 1958 e approvato nel 1962 è il primo piano della città che sperimenta la nuova Legge urbanistica del ’42. Si caratterizza per essere esteso a tutto il territorio comunale e adottare lo zoning come elemento di controllo dei processi di crescita urbana. In rapporto alle caratteristiche dei piani di “primo ordinamento”, della prima generazione urbanistica italiana, il piano presenta elementi di omogeneità e di diversificazione che schematicamente possono essere così sintetizzati:

- una previsione di espansione produttiva e residenziale largamente sovradimensionata rispetto alle reali potenzialità di sviluppo e di crescita demografica: un incremento del 53% delle superfici da destinare ad attività industriali, localizzate prevalentemente nel levante urbano, e del 44% di abitanti in-sediabili cui corrisponde un’edificabilità re-sidenziale pari a  60.000  nuovi vani a cui ne vanno aggiunti 14.500 per l’eliminazione del sovraffollamento;

- un complessivo sottodimensionamento delle aree per servizi pubblici (in un contesto storico antecedente alla Legge Ponte, al D.M. 1444/’68 come anche all’introduzione della scuola dell’obbligo) il cui standard viene quantificato in circa 4 mq/ab, ed una loro scarsa diffusione all’interno dei tessuti urbani in favore dei nuovi nuclei plurifunzionali e centralizzati per ciascun quartiere

- da un punto di vista morfologico le espansioni residenziali più consistenti sono concentrate dal Prg nelle aree della piana di Migliarina a saturazione dei fondovalle secondari (Fabiano, Fossitermi, Valdellora, Felettino, Limone, Termo) con indici di edificabilità fondiari particolarmente elevati (pressoché ovunque superiori a 3mc/mq, con punte di 11 mc/mq);

- la presenza di alcuni “temi” rilevanti caratteristici della prima generazione urbanistica, quali: a) un centro direzionale di

grandi dimensioni (l’indice territoriale per esso previsto è di 50.000 mc/ha) costituito da residenza, terziario pubblico e privato e servizi localizzato in posizione baricentrica nella fascia urbana di cerniera tra città storica e Piana di Migliarina compresa tra Piazza Europa, Piazza Dante e il quartiere del Canaletto; b) un asse attrezzato “passante” che, in un’ottica ancora pre-autostradale, avrebbe costituito una connessione territoriale alternativa a quella di attraversamento, seguendo l’andamento del tracciato ferroviario e congiungendo le “porte” urbane dell’Aurelia da Migliarina alla Scorza attraverso la Galleria Spallanzani; c) la previsione del parco urbano della Maggiolina, secondo un disegno ad “S” diretto a “frantumare” la compattezza dei tessuti di espansione della Piana di Migliarina interrompendo l’asse di Corso Nazionale.;

- la tutela del paesaggio attraverso l’imposizione del vincolo paesaggistico (L.1497/’39) cui si affianca il ruolo di marginalità delle aree agricole collinari, “corona” indifferenziata e “bianca” attorno alle aree urbane, per le quali l’indice previsto di 0,2 mc/mq assegna un’inequivocabile funzione di riserva edificatoria periurbana.

Il “Piano Moroni” si distingue, peraltro, da quelli coevi (si faccia riferimento al disastroso P.R.G. del ’59 di Genova) per un apparato analitico rigoroso e sistematico, in grado di costruire un’indagine compiuta sulle condizioni economico-produttive attraverso il censimento e la classificazione delle attività agricole e delle industrie, su quelle sociali (lettura per ceti sociali prevalenti nelle differenti parti della città) ed abitative (sovraffollamento e coabitazione), nonché sul patrimonio edilizio esistente attraverso il censimento e la classificazione cronologica (edifici anteriori o posteriori al 1950) e tipologica (case isolate o adiacenti - mono o plurifamiliari). Dalle analisi il piano procede deterministicamente, attraverso un dimensionamento condotto con il “metodo dell’occupazione”, ad individuare un’ipotesi di crescita che avrebbe dovuto condurre la città a raggiungere 180.000 abitanti in trent’anni: ipotesi assolutamente disattesa e tuttavia tra le più contenute dell’epoca. L’interpretazione strutturale e funzionale della città degli anni ‘50 viene sintetizzata da Moroni nella relazione descrittiva in tre tipologie di tessuti urbani: vecchi insediamenti rurali e marinari, insediamenti agricoli recenti in corso di trasformazione industriale, città vera e propria, evidenziati nella loro apparente discontinuità ed incoerenza non senza il ricorso alla “metafora organica” tipica dello specifico contesto culturale : “abbiamo dunque tre parti in uno stesso corpo, non ancora amalgamate, né dal punto di vista edilizio, e neppure dal punto di vista sociale, (...) si tratterà di vedere quale forma urbanistica, quale carattere dovrà assumere questo organismo, che presenta aspetti ed origini sì contrastanti, e di vedere come questa sua forma si comporrà con la scena naturale” (P. Moroni - P.R.G. della Spezia - 1958 -relazione descrittiva).

I principali elementi di trasformazione del contesto comprensoriale nel corso degli anni Sessanta e Settanta, nella fase che intercorre tra il “Piano Moroni” e la Variante Generale a cui lavoreranno, nella prima fase di stesura, Campos Venuti, Forno e Moroni, sono sintetizzati nel “Piano di Sviluppo Economico della Provincia della Spezia” del 1965, e nello schema di Programma di Sviluppo del 1977 che individuano la direttrice di crescita insediativa La Spezia-Val di Magra come conseguenza dell’avvento dell’autostrada Genova-Livorno e della consistente disponibilità di aree per insediamenti produttivi: il modello territoriale che tende ad affermarsi è incentrato sul sistema portuale spezzino e connesso al bacino della Val di Magra attraverso il sistema di scambio Porto-Autostrada- S.Stefano in modo da “costituire una cerniera tra l’hinterland padano e centroeuropeo e le linee di navigazione interessate ai mercati spezzini” (G. Campos Venuti - Variante Generale al P.R.G. della Spezia -Relazione Generale). La staticità demografica della provincia, e l’arresto della crescita del Comune della Spezia in particolare, condizionano le prospettive di espansione, che si indirizzano verso la Val di Magra anche in funzione dei processi di rilocalizzazione delle attività industriali del capoluogo, verso la costituzione di una “saldatura” comprensoriale tra funzioni portuali e funzioni produttive del territorio, favorita dal nuovo ruolo di “polo terminale” (e non più di passante) della città in relazione alla viabilità autostradale.

In questo contesto, la nuova stagione “riformista” della pianificazione prende avvio con il P.R.G. per i Servizi Pubblici del 1976, nell’ottica generale di un recupero delle risorse economiche e fisiche del territorio (suolo urbanizzato e non, aree di interesse ambientale) successiva ad una fase di espansione, in alternativa al modello di sviluppo quantitativo. Il recupero delle risorse di suolo e del patrimonio edilizio esistente prende avvio attraverso un programma di recupero pubblicistico di aree in un tessuto urbano ”patologicamente privatizzato”, nell’ottica del mutato quadro culturale e legislativo della riforma graduale degli anni Sessanta e Settanta (L. 167/62, L. 765/67, D.M. 1444/68 e L.10/77).

Le strategie prioritarie del piano, in un’ottica che pare ripercorrere gli obiettivi delle “cinque salvaguardie” perseguite da Campos Venuti nel Piano regolatore di Pavia, sono:

- l’acquisizione di aree per servizi pubblici negli spazi residui all’interno del tessuto residenziale, nella prospettiva della diffusione e del decentramento delle funzioni civiche, della capillarizzazione degli spazi verdi e per l’istruzione, con uno standard-obiettivo complessivo di 21,15 mq/ab.;

- la sostanziale riduzione delle previsioni di crescita insediativa, quantificata in circa 23000 nuove stanze, in favore di una “qualificazione della città esistente”;

- la pubblicizzazione di larga parte delle aree di espansione, la cui attuazione è affidata in misura superiore al 50% a Piani di Edilizia Economica e Popolare;

- in linea con le innovazioni introdotte dalla L.457/’78, una politica di recupero del patrimonio edilizio esistente attraverso l’ agevolazione procedurale degli interventi, circoscrivendo l’obbligo di piano di recupero al centro storico medievale che viene, per la prima volta, perimetrato come “Zona per insediamenti storico-ambientali BA” e agli interventi di “ristrutturazione urbanistica”;

- la previsone, in una congiuntura di complessiva stagnazione della crescita industriale, di un parco di aree di circa 75 ettari per attività “port-oriented”, polarizzate sull’attività produttiva del porto, con il completamento del relativo sistema infrastrutturale e della relativa accessibilità (Bretella per il porto, nodo del raccordo autostradale Pianazze-Stagnoni-Valdilocchi);

- l’individuazione, in un quadro di livello territoriale, del ruolo strategico della dismessa Area IP  nel contesto della trasformazione urbana e della formazione di nuove centralità urbane;

- la previsione di un sistema terziario direzionale, che conferma, con una drastico ridimensionamento dal punto di vista quantitativo, l’ipotesi localizzativa del piano del ’58,  nella “zona di saldamento tra la parte storica della città, l’espansione piu’ recente della piana di Migliarina, e la zona portuale-industriale (zona del Canaletto)”;

- la disciplina di salvaguardia della zona extraurbana collinare, con destinazioni d’uso univocamente connesse all’agricoltura o agli usi naturalistici, questi ultimi articolati in parchi attrezzati e naturali in linea con le innovazioni della L.R. 40/77. In particolare, il piano destina a parco il 19,4% della superficie comunale, individuando alcuni sistemi attrezzati sul crinale di Biassa e Campiglia, sul Monte Parodi, nel sistema Foce-Val Durasca-Sarbia-Mura urbane, sulle fortificazioni collinari di Monte Albano e di Pagliari;

- l’individuazione di una sistema viabilistico che ripropone, in misura semplificata e ridotta, la direttrice di cornice dell’asse attrezzato ipotizzato dal piano del ’58, privilegiando una riconnessione dei per-


corsi esistenti ed attuando un by pass della “L” viaria viale Italia - viale Amendola secondo le direzioni aternative Crispi-Fieschi, Giuliani-Fieschi e Buonviaggio-Fieschi. Il disegno della viabilità all’interno dei tessuti urbani periferici è finalizzato ad una parziale riorganizzazione e ricucitura dei tessuti della piana di Migliarina, accresciutisi in forma frammentaria ed eterogenea, attraverso la formazione dei raccordi tra via Carducci (nuovo asse di penetrazione urbana dall’autostrada) e viale Italia (la via Federici che avrebbe dovuto ricongiungersi alla via Sarzana costeggiando il cimitero dei Boschetti e completando così l’anello viabilistico alternativo all’Aurelia attorno al nucleo storico di Migliarina; il prolungamento a mare della via Liguria e di via Palmaria come riorganizzazione del tessuto del Canaletto, destinato a nuova zona terziario-direzionale; il potenziamento della viabilità di margine con la connessione tra Corso Nazionale e via Fontevivo)

Sotto il profilo della struttura insediativa, il piano dell’82, (peraltro depotenziato nella sua struttura a causa di un lungo iter approvativo nel corso del quale molti degli elementi “riformisti” resteranno disattesi in favore di una più consistente urbanizzazione delle aree collinari), riduce sostanzialmente, nella sua stesura iniziale, le previsioni insediative del precedente, concentrando il nuovo carico insediativo all’interno della struttura urbana esistente, favorendo il completamento e la riqualificazione funzionale dei tessuti esistenti, riducendo e circoscrivendo, rispetto al Piano del ’58, le espansioni sulle aree di versante alle fasce pedecollinari, affidandole in buona parte ai Piani per l’Edilizia Economica e Popolare; individua, altresì, una diffusa e frammentata rete di servizi di quartiere all’interno dei tessuti urbani centrali e periferici, prevedendo in particolare nuovi parchi di quartiere in prossimità degli insediamenti di edilizia popolare (Fossitermi, Pianazze).

 

TAV. C.13 – LA CITTA’ DEL SECONDO DOPOGUERRA